Due nozioni per far luce sul genio di Philidor

 

 

LORENZO L. BORGIA (a cura di)

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 13 aprile 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una relazione del nostro presidente Giuseppe Perrella presentata al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia è qui riassunta e presentata come uno studio in continuità tematica con l’articolo sulla creatività musicale della scorsa settimana. Questa volta, però, l’attenzione è rivolta al passato, per chiarire alcuni aspetti del lavoro di un compositore francese del Settecento.

 

Premessa introduttiva. L’articolo pubblicato la scorsa settimana[1] ci fornisce due nozioni neuroscientifiche che possiamo adottare per comprendere aspetti dell’opera di autori di musica del passato: 1) lo stato funzionale corrispondente all’ispirazione di un compositore consiste di elaborazioni non coscienti che, in quanto tali, risentono dell’influenza delle memorie implicite formate all’ascolto recente; 2) scrivere opere musicali richiede una memoria di funzionamento (working memory) superiore alla media e, con ogni probabilità, contribuisce a svilupparla, come altri esercizi cognitivi che richiedono la ritenzione nell’attualità mentale operativa di estese o complesse rappresentazioni simboliche.

Qui si prova ad adottare queste due nozioni quali chiavi interpretative per spiegare due aspetti dell’opera del compositore François-André Danican Philidor: perché, pur essendo un grande talento, non si cimentò mai con i generi classici e scrisse quasi esclusivamente musica per testi umoristici, quali i suoi celebri Sancio Panza e Tom Jones? Perché condusse sempre una “doppia vita” girando tutta l’Europa?

 

La realtà musicale della Francia del Settecento in cui visse Philidor. La Germania non aveva rivali in fatto di composizioni per messe e corali solenni, l’Italia era la patria del melodramma, genere nato a Firenze da membri della Camerata de’ Bardi di cui faceva parte uno studioso della fisica del suono quale Vincenzio Galilei, padre di Galileo Galilei, e l’Austria sembrava seguire la cultura musicale delle due nazioni vicine. Nella Francia del Settecento, dove l’opera buffa fino all’avvento di Gluck era molto più seguita dell’opera seria, la musica era considerata una componente della gaieté parisienne, che accoglieva con entusiasmo le arie e le melodie italiane più orecchiabili, romantiche o festose, disdegnando la musica sacra di impronta gregoriana, le messe da requiem e le composizioni di sofisticata ricerca musicologica. I transalpini creano le fêtes galantes e si specializzano in intrattenimenti musicali che si prestano alla danza o la ricordano: curantes, sarabande, gighe, gavotte e minuetti; soprattutto, consegnano alla storia l’identificazione di nuovi generi musicali con altrettante donne: l’Enchanteresse, l’Ingenue, Mimi, Carillon de Cythère[2].

Conoscendo questa realtà non ci meraviglia che Mozart sia stato quasi ignorato a Parigi e che il tedesco Grimm abbia dichiarato: “È un peccato che la gente di questo paese capisca così poco di musica”[3].

Era il modo stesso in cui si concepiva in Francia lo spettacolo ad essere diverso dallo stile condiviso da Tedeschi, Italiani e Austriaci, consistente nel presentare i contenuti musicali e letterari dell’opera in modo tale da esaltare il loro valore offerto al giudizio e al sentimento del pubblico. In Francia lo scopo principale è divertire lo spettatore, far sì che viva delle ore di svago e piacere che lo inducano a ritornare. L’intermezzo dell’opera più frequente era il balletto, in cui l’esaltazione estetica della figura femminile, nei costumi e nella grazia dei movimenti, realizzava un ideale di bellezza briosa, vivace ed elegante nel contempo, che assorbiva la coscienza visiva dello spettatore, relegando la musica a complemento acustico dell’esperienza, in grado di partecipare all’evocazione di uno stato d’animo pervaso da affettività positiva.

Se l’ispirazione consiste di elaborazioni non coscienti in parte derivate dalla memoria implicita dell’ascolto recente, è facile dedurre che in quell’ambiente musicale la vena compositiva di François-André Danican Philidor fosse costantemente nutrita di accenti squillanti, di registri e ritmi di gaia allegria e di effetti sonori divertenti.

Ma, per comprendere meglio cosa accadeva nel mondo della musica francese in quel secolo, è necessario dar conto di una storica battaglia culturale combattuta a Parigi e nelle altre grandi città da due opposte fazioni.

Nel 1714 si stabilisce a Parigi con grande clamore una compagnia autobattezzata dai suoi membri Opéra-Comique, che nasce già con un grande seguito fra nobili e borghesi. La musica per costoro è allegria, gioia di vivere, divertimento, modo per sviluppare energie positive, coltivare uno stato d’animo entusiasta e calibrare i toni affettivi nella gamma che va dalla serenità all’euforia.

Per contro, negli ambienti dell’alta cultura di corte e presso le autorità religiose si fa strada il timore che questo modo frivolo e tendenzialmente neopagano di intendere la musica possa non solo farle perdere il suo valore spirituale consolidato nei secoli, a partire dal cantare ebraico dei Salmi e dal canto gregoriano fino alle composizioni di Bach, ma possa impoverire culturalmente e involgarire tutta la società. La reazione all’Opéra-Comique non si fa attendere: “A Parigi i «Concerts Spirituels», istituiti alle Tuileries nel 1725, diedero un alto esempio di musica strumentale”[4].

Fu un successo – come diremmo oggi – di critica ma non di pubblico. Questa iniziativa era intesa a far conoscere ai Francesi Händel, Haydn, Mozart, Jommelli, Piccinni e Bach, ma i concerti furono frequentati e apprezzati quasi esclusivamente da musicisti e, per i maggiori esecutori dell’epoca, furono una ribalta rivolta a colleghi e allievi.

La battaglia continua: mentre i Concerts Spirituels presentano lo Stabat Mater di Pergolesi, contemporaneamente l’Opéra-Comique porta in scena La serva padrona dello stesso Pergolesi, sottraendo pubblico alla musica penitenziale e facendo il tutto esaurito.

La vittoria finale dello “stile francese” si ha 1762, quando la Comédie-Italienne si fonde con l’Opéra-Comique creando una grande impresa per lo spettacolo leggero, che andrà di bene in meglio, fino ad ottenere nel 1780 la sede stabile alla Salle Favart. Dai resoconti dell’epoca, Will e Ariel Durant riportano che la fortuna dell’opera buffa si chiama proprio François-André Philidor. Dunque, dopo aver subito l’influenza di quei generi leggeri in gioventù, ne diventò il maggior interprete, autore della colonna sonora delle serate parigine, simbolo della vita allegra e spensierata di due o tre generazioni.[5]

 

Qual è la provenienza musicale e familiare di Philidor? C’è un particolare aspetto che i musicologi rilevano nel lavoro del compositore francese: la sua attenzione sembra spesso rivolta più alla timbrica, all’effetto strumentale che allo sviluppo della struttura armonico-melodica di tutta la composizione. Anche se questo carattere può essere ricondotto al genere musicale, è verosimile che l’origine sia da ricercare nell’esperienza precoce di un timbro molto particolare nel suono dell’orchestra, quello dell’oboe, che può aver accresciuto la sensibilità a questa dimensione dell’esperienza acustica. E questo strumento è indissolubilmente legato alla famiglia da cui proviene il musicista.

Jean-Benjiamin de La Borde (1734-1794), compositore francese poi ghigliottinato dai rivoluzionari, narra che Luigi XIII aveva una grande ammirazione per un musicista di Siena virtuoso dell’oboe di nome Filidoro, considerato inarrivabile nella tecnica e nell’interpretazione oboistica; e dunque, quando il re ebbe modo di ascoltare un’ottima esibizione all’oboe di Michael I Dunican, lo soprannominò “Philidor[6]. Questi, che era di origine scozzese e si chiamava in realtà Duncan, francesizzato in Dunican, fu ben lieto di trasformare il soprannome in cognome aggiunto e, in tal modo, ebbe origine nel Seicento la stirpe dei Philidor, i più grandi oboisti della storia di Francia.

André Dunican Philidor, detto “il Vecchio” in quanto padre di François-André, era il musicista ordinario del re e, oltre all’oboe, suonava un altro strumento aerofono ad ancia doppia, di antica tradizione rinascimentale: il cornamuto torto o cromorno[7] costituito da una canna di legno d’acero o di bosso curvata a manico d’ombrello. Il padre del compositore suonava anche uno strumento antico e curiosissimo, la tromba marina[8], che a dispetto del suo nome non ha nulla a che vedere con la tromba e col mare. Infatti, si tratta di un cordofono composto con corda parallela alla cassa armonica[9], che si suona con l’archetto come il violino e, infatti, in tedesco si chiama “violino delle suore” (Nonnengeige), ma ha una struttura del tutto diversa: è come una piramide molto stretta e allungata con la base che si posa sul pavimento e il manico diretto verso l’alto. Si presume che si suonasse stando in piedi, come il contrabasso.

Ma la fama di Philidor padre è legata al suo ruolo di Oboista dei Moschettieri di Francia, di cui fece parte Charles de Batz de Castelmore d’Artagnan, alla cui figura si ispirò Alexandre Dumas per il romanzo I tre moschettieri.

François-André era cresciuto sentendo, ascoltando e poi suonando l’oboe del padre, imparando ad amare la magia creata da quel suono e dalla sua inesauribile capacità di suggerirgli melodie.

Quel suggestivo colore timbrico proprio del suono dell’oboe è dovuto al particolare tipo di legno di cui è fatto, detto ebano grenadilla, proveniente da un albero della famiglia delle Fabacee (Dalbergia melanoxylon), proprio dell’Africa subsahariana dove è noto come “mpingo”, e storicamente scelto dai Portoghesi per primi per la fabbricazione di strumenti musicali; la struttura della varietà nera è liscia, compatta e straordinariamente resistente all’umidità[10]. Per l’oboe si possono impiegare altri legni meno costosi del genere Dalbergia, come il palissandro, ma un orecchio fine sente la differenza. L’oboe è uno strumento aerofono ad ancia doppia, ossia costituita da due lamelle di canna che vibrano l’una contro l’altra, come nel fagotto, e contribuiscono alla qualità del suono[11].

Il celeberrimo concerto di Alessandro Marcello per oboe e orchestra in re minore, quello in do minore di Benedetto Marcello, il concerto per oboe di Mozart, opera K314, quello sublime di Bach per oboe e violino (BWV 1060) nella memoria acustica popolare, anche di coloro che non ascoltano musica classica, erano stati a lungo la “voce dell’oboe”, la timbrica emblematica nel ricordo uditivo fino a Gabriel’s Oboe, il tema principale della colonna sonora scritta da Ennio Morricone per il film The Mission, che nella memoria acustica recente di molti si identifica con questo strumento[12].

 

Uno dei più grandi maestri di scacchi della storia d’Europa stupisce il mondo. Il grande maestro di scacchi fa il suo esordio sulla scena internazionale battendo nel 1747 il campione siriano Philip Stamma, considerato da molti imbattibile. Nel 1749 pubblica il libro Analisi del gioco degli scacchi, che è subito tradotto in tre lingue e diviene presto il manuale didattico degli scacchi in tutto il vecchio continente; per primo analizza alcune posizioni di torre e alfiere contro torre, indica una particolare posizione nei finali di torre e pedone contro torre, e concepisce una tecnica per ottenere la patta in una posizione di assoluto svantaggio.

Il maestro è anche un pioniere e un fenomeno degli scacchi alla cieca: una variante del gioco “a mente”, senza scacchi e scacchiera, che richiede la formazione di immagini mentali della posizione di tutti pezzi, con la memorizzazione perfetta e temporanea della situazione dopo ogni mossa. La comunicazione delle mosse avveniva con la notazione descrittiva, non con l’odierna notazione algebrica che ha abolito ogni ambiguità. Ma il maestro va oltre, e il 9 maggio 1783 gioca a Londra in un circolo di st. James la simultanea alla cieca: sostiene contemporaneamente tre partite contro tre avversari diversi senza poter vedere le tre scacchiere, e quindi costruendo e ricostruendo le immagini mentali delle scacchiere dopo ogni mossa sua e degli avversari.

Qual era il nome di questo fenomeno dalla working memory eccezionale?

Il maestro di scacchi dal talento prodigioso era sempre lui: François-André Danican Philidor.

Ancora oggi si parla di difesa di Philidor e posizione di Philidor. Girava l’Europa esibendosi come fenomeno della scacchiera e poi ritornava a casa a comporre musica: non ha mai smesso questa “doppia vita” perché ciascuna delle due attività costituiva un allenamento per l’altra: come abbiamo visto nel caso di Ennio Morricone, la creazione di musica e l’abilità scacchistica richiedono uno span considerevole di memoria di funzionamento e, allo stesso tempo, la loro pratica accresce le dimensioni di questo span.

Philidor compose venticinque opere, quasi tutte concepite con l’intento di evocare sensazioni di piacere nell’ascolto, di suscitare ilarità e generare allegria, principalmente attraverso effetti comici sottolineati dal sapiente uso della timbrica strumentale e dell’orchestrazione. Naturalmente non sapremo mai se lui e altri compositori scacchisti fossero già geneticamente più dotati della media in sostrato neurofunzionale della working memory, né possiamo definire quanto delle loro straordinarie prestazioni sia da attribuire all’intenso e costante esercizio di quei processi mentali per tutta la vita.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-13 aprile 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 06-04-24 Ennio Morricone aiuta a comprendere la creatività musicale.

[2] Cfr. Will e Ariel Durant, Storia della Civiltà – Rousseau e la Rivoluzione (4 voll.), vol. I, p. 130, Edito-Service S.A., Ginevra e Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963.

[3] Will e Ariel Durant, op. cit., p. 131.

[4] Will e Ariel Durant, op. cit., p. 130.

[5] Will e Ariel Durant, op. cit., p. 130.

[6] Cfr. Jean-Benjamin de La Borde, Essai sur la musique ancienne et moderne. P. D. Pierres, Paris 1780.

[7] Resa in italiano del nome tedesco Krummhorn, letteralmente “corno ricurvo”. In realtà i musicisti italiani lo chiamavano “cornamuto torto” e raramente “storta”, riservando il calco della parola tedesca (simile al calco fatto in francese) a denominare il registro di quel suono presente negli organi di fabbricazione germanica.

[8] Non si ha notizia certa sull’origine del nome: non si sa bene perché “tromba”, ma si ritiene che “marina” sia corruzione di “mariana”.

[9] Quasi tutti gli esemplari giunti fino a noi o ricostruiti sono dotati di una corda sola, ma gli antichi trattati sugli strumenti musicali riportano che poteva arrivare a 4 corde e, in più, avere corde “simpatiche” montate all’interno della cassa.

[10] È nella lista rossa UCN delle specie a rischio di estinzione. Il suo legno, particolarmente nella varietà nera, è costosissimo. Una delle particolarità di questo legno è che non vi attecchisce la vernice, e non richiede di essere verniciato, ma solo trattato e lucidato per la realizzazione dell’oboe; perciò un oboe verniciato nero è probabilmente di palissandro comune.

[11] La costruzione di ance è una tecnica specializzata di un’arte di antica tradizione.

[12] Non solo in Italia, dove l’adozione di questa musica per la pubblicità di un noto formaggio contribuisce quotidianamente a rinfrescarci la memoria.